Il limite del continuo di un modello su reticolo

Un metodo comune per studiare una teoria quantistica dei campi è quello di discretizzarla su un reticolo (in inglese lattice). In questa maniera, l’integrale sui cammini diventa semplicemente una funzione di partizione con un numero finito di gradi di libertà: è ben definito e può essere calcolato. In questo articolo esporremo come si fa ad ottenere il limite del continuo a partire da calcoli su reticolo.

In linea di massima, dal reticolo possiamo calcolare la media di un’osservabile qualsiasi, diciamo $\langle O \rangle$, tramite la funzione di partizione (schematicamente):

$$\langle O \rangle = \frac{1}{Z} \int \mathcal{D}\phi \, O(\phi)\, e^{-S(\phi)}$$

dove $S$ è l’azione del nostro modello e $\phi$ sono i campi del nostro modello. In pratica, la media $\langle O \rangle$ è tipicamente calcolata al computer tramite un algoritmo Monte Carlo. Alcuni esempi sono:

  • $O$ può essere ad esempio il valore assoluto della magnetizzazione di un modello di Ising;
  • $O=\phi(0)\phi(t)$ può essere una funzione di correlazione; possiamo quindi effettuare un fit tramite la decomposizione spettrale, che abbiamo visto in un precedente articolo, e ricavare ad esempio l’energia associata a $\phi$.

A questo punto la nostra simulazione ci avrà fornito dei valori $f(g, L, a)$ dove

  • $f$ è la quantità che vogliamo misurare;
  • $g$ è la costante di accoppiamento del modello, che entra nella media perché compare nell’azione;
  • $L$ è la lunghezza del reticolo;
  • $a$ è il passo del reticolo, cioè la distanza fisica tra due siti vicini.

Ad esempio $f$ può essere appunto il valore assoluto di una magnetizzazione, oppure una massa, o qualsiasi altra quantità ottenuta da una simulazione su reticolo. Ovviamente possiamo avere più costanti di accoppiamento e lunghezze diverse nelle diverse dimensioni, ma per spiegare teniamo le cose semplici. I due limiti che si eseguono di solito sono:

  • il limite termodinamico $L \to \infty$;
  • il limite del continuo $a \to 0$.

Sia $L$ che $a$ sono quantità adimensionali, perché sono semplicemente numeri sul computer. Se potessimo veramente porre $L=\infty$ e $a=0$ avremmo finito; tuttavia ciò non è possibile neanche in linea di principio e quindi ci serve una misura con cui confrontare $a$ e $L$ in modo tale da sapere se $L$ è grande e $a$ è piccolo.

Questa “unità di misura” è la scala di lunghezza naturale del sistema, ovvero la cosiddetta lunghezza di correlazione $\xi$, definita da

$$\langle \phi(t_1) \phi(t_2) \rangle \sim \exp{\pqty{-\frac{\abs{t_1-t_2}}{\xi}}}$$

che vale asintoticamente quando la separazione diventa grande, $\abs{x-y}\to \infty$. In questo caso abbiamo scelto il campo $\phi$, ma tramite la decomposizione spettrale vediamo che per ogni osservabile $O(t)$ possiamo calcolare $\langle \phi(t_1) \phi(t_2) \rangle$, che sarà associata ad una certa lunghezza di correlazione $\xi_O$. Poiché la lunghezza di correlazione è la lunghezza alla quale gli eventi avvengono, la lunghezza di correlazione che conta è quella più grande di tutte. Ad esempio nel modello di Ising, la lunghezza di correlazione da considerare è quella collegata alla funzione di correlazione tra due spin; in cromodinamica quantistica invece, poiché $\xi = 1/m$, la lunghezza di correlazione più grande è quella associata alla particella con massa minore, ovvero il pione.

Quindi prima di tutto dobbiamo misurare $\xi$. A tal scopo misuriamo la funzione di correlazione, ad esempio $\expval{\phi(t_1) \phi(t_2)}$, e poi ricaviamo $\xi$ tramite un fit. A questo punto avremo ottenuto $\xi(L, g, a)$ per specifici valori di $L$, $g$, $a$. Poi ripetiamo il calcolo per $L$ sempre più grande finché $\xi(L, g, a) \ll L$ (perché altrimenti gli eventi fisici che vorrebbero avvenire ad una scala $\xi$ sarebbero “compressi” ad una scala $L$) e al contempo $\xi(L, g, a)$ rimane costante rispetto a $L$ (entro i limiti dell’errore). A questo punto il valore che abbiamo ottenuto sarà $\xi(g,a) \equiv \lim_{L \to \infty} \xi(L,g,a)$.

Ora abbiamo quindi una scala di lunghezza $\xi$ con cui misurare le lunghezze. Perciò

  • la lunghezza fisica del reticolo è $L/\xi$, oppure alternativamente poiché $\xi = 1/m$, dove $m$ è il divario energetico, la lunghezza fisica del reticolo è $mL$.
  • il passo fisico del reticolo è $a / \xi$, oppure alternativamente $ma$.

Prima di tutto vediamo come prendere il limite termodinamico $L \to \infty$. Per motivi tecnici, spesso è necessario prima mandare $L \to \infty$ e solo poi $a\to 0$. Consideriamo perciò la nostra $f(L,g,a)$ e fissiamo dei valori $g,a$, effettuando il calcolo per $L$ sempre più grande. In questo caso la lunghezza di correlazione sarà data da $\xi(g,a)$ e sarà uguale per tutti gli $L$. Ora all’aumentare di $L$ da un certo punto in poi $f(L,g,a)$ diventerà costante e non cambierà più (entro i limiti dell’errore) e a quel punto diciamo che abbiamo trovato il limite termodinamico $f(g,a) = \lim_{L \to \infty} f(L,g,a)$. A volte tuttavia non è computazionalmente fattibile arrivare a $L$ tanto grandi, e perciò questa strategia non funziona. Molto spesso abbiamo delle predizioni teoriche sul comportamento di $f(L,g,a)$ all’aumentare di $L$, ad esempio molto spesso

$$f(L,g,a) = f(\infty,g,a) + A e^{-L/\xi}$$

vediamo che la rapidità del decadimento dell’esponenziale è controllata da $\xi$ e quindi dovremo andare a valori di $L \approx 5-6 \xi$ prima che l’esponenziale sia irrilevante. Tuttavia anche per valori di $L$ più piccoli possiamo effettuare un fit con la forma precedente e ottenere perciò il limite termodinamico $f(g,a) = f(\infty, g, a)$. Esiste una grande letteratura sugli “effetti di taglia finita” e la forma data sopra non è certo universale: ad esempio in alcune fasi in cui $\xi=\infty$ (ad esempio nella transizione BKT) il decadimento è una potenza invece che un esponenziale, oppure un misto delle due, oppure diversi esponenziali e via dicendo. Anche il coefficiente $A$ di fronte all’esponenziale ha un significato fisico ed è a volte interessante da calcolare.

Ora abbiamo effettuato il limite termodinamico, e non rimane che calcolare il limite del continuo. A tal fine abbiamo due approcci equivalenti ma che ci permettono di pensare al problema in maniera diversa:

  • Nell’approccio “alla materia condensata”, il passo del reticolo $a$ è una quantità fissa (possiamo pensare che è la distanza tra due siti in un cristallo). Allora il limite del continuo vuol dire mandare $\xi \to \infty$ in modo tale che il passo fisico del reticolo $a / \xi \to 0$. Pensiamo ad esempio al modello di Ising.
  • Nell’approccio “alla teoria dei campi” pensiamo in termini di divario energetico $m=1/\xi$, ad esempio in cromodinamica quantistica. In quel caso $m$ è la massa del pione e ci interessa fissare la massa fisica del pione $m/a$ al suo valore vero ottenuto dagli esperimenti. Perciò manderemo $a \to 0$ in modo che $m/a$ rimanga costante e quindi mandiamo $m \to 0$.

In entrambi i casi, dobbiamo quindi mandare $\xi \to \infty$ (o, in maniera equivalente, $m=1/\xi \to 0$). Tuttavia, appunto, $\xi$ non può essere scelta ma va calcolata, ed è in linea di principio una funzione di $a$ e $g$, ovvero $\xi=\xi(g,a)$. Perciò “scegliere $\xi$” vuol dire scegliere $g$ in modo tale che $\xi$ prenda il valore che vogliamo. Poiché in entrambi i casi ci serve $\xi \to \infty$, ciò avviene per definizione solo in un punto $g\to g_c$ dove abbiamo una transizione di fase del second’ordine. Ciò avviene tanto per il modello di Ising in 2D, ad esempio, quanto per la cromodinamica quantistica, la cui transizione di fase avviene per $g^2 \to 0$. Se il modello non ammette una transizione di fase del second’ordine, allora semplicemente non ha un limite del continuo.

Notiamo che nel secondo caso è particolarmente evidente la connessione col gruppo di rinormalizzazione. Infatti il limite $a\to 0$ con $m(a,g)/a$ costante implica, per ogni $a$ la scelta di una costante d’accoppiamento $g(a)$ in modo che $m(a,g)/a$ rimanga costante e $\lim_{a \to 0} \xi(g(a),a)=\infty$. Ovvero la costante di accoppiamento cambia con la scala di energia a cui consideriamo il sistema.

Una volta decisa una delle due procedure, avremo perciò una funzione $f(g)$ (con $a$ fisso) oppure $f(g(a),a)$. A questo punto per calcolare il limite del continuo ci avviciniamo al punto critico e aspettiamo che il valore si stabilizzi; oppure, più tipicamente, utilizziamo una predizione teorica per $f$ ed effettuiamo un fit. Ad esempio tipicamente in materia condensata avremo $f(g) =B(g-g_c)^\alpha$ dove $g_c$ è la transizione di fase e $\alpha$ un numero detto esponente critico, che può anche essere calcolato analiticamente. Al contrario in teoria dei campi spesso si prende come predizione per $f(g(a),a)$ un polinomio in $a$.

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