Il teorema di Elitzur in teorie di calibro

Il teorema di Elitzur è un risultato molto importante valido in ogni teoria di calibro (teoria di “gauge”). Il risultato esplicitamente è il seguente:

Teorema (Elitzur). In una teoria di calibro, sia $O$ un operatore non invariante di calibro. Allora necessariamente $\langle O \rangle =0$.

In altre parole, gli unici operatori che possono avere valore atteso non nullo sono invarianti di calibro.

Ad esempio, in elettrodinamica quantistica l’elettrone è rappresentato da uno spinore di Dirac $\psi$. Una trasformazione di calibro manda $\psi \to e^{i\alpha} \psi$, pertanto $\psi$ non è invariante di calibro. Ne segue che in elettrodinamica quantistica $\langle \psi \rangle =0$. Al contrario, $\psi^\dagger \psi$ è invariante di calibro, e pertanto può avere valore atteso non nullo.

Ci sono alcune precisazioni tecniche da fare: il teorema vale solo per “operatori locali”, cioè definiti in un volume finito; inoltre, per “operatore non-invariante” intendiamo un operatore che non ha nessuna componente invariante (quindi la somma di un operatore invariante e uno non-invariante non vale). Nella dimostrazione diamo definizioni più precise.

Spiegazione euristica

In termini intuitivi, una simmetria di calibro non è una simmetria ma una ridondanza nella descrizione del sistema fisico. In altre parole, se due oggetti $A$ e $B$ sono collegati da una simmetria di calibro, allora sono fisicamente lo stesso oggetto, solo descritto in maniera diversa per comodità.

Al contrario, per una simmetria globale ciò non vale: se l’azione è invariante per rotazioni, ad esempio, allora un vettore e la sua versione rotata danno lo stesso valore per l’azione, ma non sono lo stesso oggetto e rimangono distinti.

Se un’operatore non-invariante può avere un valore atteso non-nullo, ciò significa che possiamo distinguere i due calibri, perché in linea di principio l’operatore è diverso in calibri diversi e quindi ha valori attesi diversi. Ma la simmetria di calibro è solo una ridondanza nella descrizione, e quindi calibri diversi non possono produrre risultati diversi.

Significato fisico

L’interpretazione più semplice del teorema di Elitzur è che la simmetria di calibro non può essere rotta spontaneamente. Ciò segue direttamente dall’idea che una simmetria di calibro è solo una ridondanza nella descrizione del sistema, e pertanto non è possibile che sia rotta.

Si ha rottura spontanea di simmetria quando la teoria è invariante rispetto ad una certa simmetria, ma lo stato di vuoto non lo è. Abbiamo cioè più stati di vuoto possibili, collegati tra loro da una trasformazione di simmetria, ma nessuno di questi vuoti è invariante individualmente. Tuttavia in una teoria di calibro il vuoto è sempre unico: ciò perché, essendo la simmetria di calibro solo una ridondanza nella descrizione del sistema, diversi stati di vuoto collegati da una simmetria di calibro sono in realtà lo stesso stato.

Inoltre, se la rottura è spontanea, si ha un parametro d’ordine che non è invariante rispetto alla simmetria: questo è nullo nella fase “simmetrica” dove la simmetria è preservata, mentre acquisice un valore atteso non-nullo nella fase dove la simmetria è rotta. Tuttavia, nel caso di una teoria di calibro, il teorema di Elitzur proibisce che ciò possa avvenire, perché un osservabile non-invariante ha sempre valore atteso nullo.

In generale, il teorema di Elitzur rimane molto utile da tenere a mente quando si effettuano dei calcoli, e ci fornisce una linea guida per studiare le teorie di calibro: ovvero è importante costruire degli osservabili invarianti di calibro, perché solo questi possono avere significato fisico. Inoltre, come vedremo in un altro articolo, il teorema di Elitzur ha importanti conseguenze per quanto riguarda l’interpretazione del meccanismo di Higgs. 

Dimostrazione

Offriamo qui una dimostrazione del teorema, presa da Itzykson & Drouffe, sezione 6.1.3. La nostra teoria è definita dall’integrale sui cammini

$$Z_N = \int D\phi\, \exp{\bqty{S(\phi)}}\tag{1}$$

L’integrale sui cammini deve essere come al solito regolarizzato in maniera appropriata. Ciò vuol dire che è definito su un reticolo con $N$ siti. In questa dimostrazione adotteremo una notazione schematica e non precisa. I $\phi$ nell’integrale $(1)$ sono tutti i campi nella nostra teoria, appunto in maniera schematica; poiché siamo su un reticolo, in questo caso consideriamo separatamente anche lo stesso campo definito su siti diversi del reticolo: se $\phi$ è un campo scalare ad esempio, allora contiamo separatamente $\phi(x_1)$ e $\phi(x_2)$ dove $x_1, x_2$ sono due siti del reticolo. Infine $S$ è l’azione, in cui includiamo tutti i possibili prefattori.

Il limite $N\to \infty$ è il limite di “volume infinito”, o limite termodinamico. Come al solito, per calcolare il valore atteso dobbiamo introdurre un campo esterno $J$, calcolare il valore atteso per $N$ e $J$ dati, poi prendere il limite termodinamico $N \to \infty$ e solo alla fine rimuovere il campo esterno, $J \to 0$. Ovvero per definizione, data una funzione $f$ dei campi,

$$\langle f(\phi)\rangle = \lim_{J \to 0} \lim_{N \to \infty} \langle f(\phi)\rangle_{N,J}$$

dove 

$$\langle f(\phi)\rangle_{N,J} = \frac{1}{Z_{N,J}} \int D\phi\, f(\phi) \exp{\bqty{S(\phi)+J\cdot \phi}}$$

e $Z_{N,J}$ è semplicemente l’integrale sui cammini con un campo esterno $J$, regolarizzato su un reticolo con $N$ siti. Rispetto ad una trasformazione di calibro data da elementi $g$ del gruppo di calibro, diciamo che $\phi \to \phi_g$. Ora supponiamo che $f$ soddisfi:

$$\int Dg\, f(\phi_g) = 0\tag{2}$$

per integrale su $g$ intendiamo l’integrale su $g(x)$ per ogni punto $x$ del reticolo in cui abbiamo discretizzato il nostro spazio. L’integrazione su ogni singolo $g(x)$ è data dalla misura di Haar. La $(2)$ equivale a supporre che $f$ non ha nessun componente invariante. Chiaramente se $f$ è invariante di calibro, allora $f(\phi_g) = f(\phi)$ indipendente da $g$ e quindi l’integrale sopra sarà in generale non-nullo. La scelta della $(2)$ come condizione esclude operatori che sono la somma di un’operatore invariante e di uno non-invariante.

Per dimostrare il teorema dobbiamo supporre che $f$ sia locale. In particolare, supponiamo che $f(\phi)$ dipenda solo da un sottoinsieme $\phi’$ dei campi $\phi$ e chiamiamo le variabili restanti $\phi^{\prime\prime}$, ovvero $\{\phi\} = \{\phi^{\prime}\} \cup \{\phi^{\prime\prime}\}$. Ad esempio, $f$ potrebbe dipendere solo dal campo in un certo sito del reticolo, oppure in due siti vicini e così via. Inoltre, è importante che la regione finita in cui $f$ è definita non cresca all’aumentare di $N$. 

Consideriamo quelle trasformazioni di calibro che lasciano invariate le variabili $\phi^{\prime\prime}$ ma modificano in linea di principio solo le variabili $\phi^{\prime}$. Cambiando quindi variabili da $\phi$ a $\phi_g$ abbiamo

$$\langle f(\phi)\rangle_{N,J} = \frac{1}{Z_{N,J}} \int D\phi\, D’g\, f(\phi_g) \exp{\bqty{S(\phi)+J\cdot \phi’_g + J\cdot \phi^{\prime\prime}}}\tag{3}$$

dove $D’g$ sta a indicare che integriamo solo su quelle $g$ che modificano i $\phi’$ ma lasciano invariati i $\phi^{\prime\prime}$. Sia l’azione che la misura di integrazione sono per definizione invarianti rispetto alla trasformazione di calibro.

Ora, poiché $f$ è locale, il numero di $\phi$ da cui $f$ dipende (cioè il numero dei $\phi’$) è indipendente da $N$. Scegliendo $\abs{J} \leq \epsilon$ per un qualche $\epsilon$, abbiamo quindi

$$\abs{\exp{\pqty{J’ \cdot \phi’}}-1} \leq \eta(\epsilon)\tag{4}$$

dove $\eta$ è una qualche funzione indipendente da $N$ e da $\phi’$. Vediamo qui che è cruciale assumere che $f$ sia locale (altrimenti $J’ \cdot \phi’$ scalerebbe con $N$ e quindi la $(4)$ non sarebbe valida) e che la simmetria sia di calibro (così possiamo modificare alcuni $\phi$ ma non altri; una simmetria globale modificherebbe tutti i $\phi$ impedendo la separazione dei $\phi$ in $\phi’$ e $\phi^{\prime\prime}$). Inoltre la $(4)$ è valida solo se i campi $\phi$ sono compatti, cioè se prendono valori in un insieme limitato.

Ora pertanto rimpiazziamo $\exp{\pqty{J’ \cdot \phi’}}$ nell’integrale sui cammini con $1+\pqty{\exp{J’ \cdot \phi’}-1}$. Il primo termine risultante della $(3)$ è nullo per la $(2)$, mentre l’altro termine è limitato per via della $(4)$. Segue quindi che $\abs{\langle f(\phi)\rangle_{N,J}} \leq C \eta(\epsilon)$ dove $C$ è una costante indipendente da $N$. Segue quindi prendendo i limiti che $ \langle f(\phi)\rangle = 0$. $\square$

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